È stata inaugurata domenica 12 novembre al Parco Caduti di Nassiriya la stele commemorativa realizzata gratuitamente dalla ditta Maccarinelli di Rezzato che testimonia il sacrificio delle 19 vittime italiane della strage di Nassiriya, occorsa il 12 novembre di 20 anni fa. Dopo la messa celebrata in Duomo da Mons. Cesare Cancarini il corteo di autorità, associazioni e cittadini ha sfilato sino al Parco Caduti di Nassiriya per gli interventi di rito coordinati dal Maresciallo Alfonso Turchetti e con accompagnamento musicale della Banda cittadina Carlo Inico diretta dal Maestro Massimo Pennati. Il ricordo del tragico fatto di sangue è stato portato dal Sindaco Marco Togni, dal Consigliere regionale Claudia Carzeri, dall'Abate Cesare Cancarini e dal rappresentante dell'Associazione Nazionale Carabinieri di Montichiari Ennio Ziletti. Lette anche la preghiera del Carabiniere e per i Caduti di Nassiriya con l'elenco delle 19 vittime tra appartenenti all'Arma, militari dell'Esercito e civili.
Le vittime i cui nomi sono incisi sulla stele:
PIETRO PETRUCCI: 22 annidi Casavatore (Napoli), caporale dell'Esercito. Ne era stata dichiarata la morte cerebrale poche ore dopo la strage. Poi è stata staccata la spina della macchina che lo teneva in vita. Petrucci era un volontario in ferma breve e in missione in Iraq con l'incarico di conduttore di automezzi.
DOMENICO INTRAVAIA: 46 anni, di Monreale, appuntato dei CC in servizio al comando provinciale di Palermo; sposato e con due figli di 16 e 12 anni. Lascia anche l'anziana madre, il fratello gemello e due sorelle. Era partito per l'Iraq quattro mesi fa e sarebbe dovuto rientrare a breve. Era già stato in missione a Sarajevo. I due figli tenevano un calendario da cui cancellavano i giorni che mancavano al ritorno del padre. La notizia ha gettato la moglie nella disperazione: «Voglio morire, senza mio marito la mia vita non ha senso».
ORAZIO MAJORANA:29 anni, di Catania, Carabiniere scelto in servizio nel battaglione Laives-Leifers in provincia di Bolzano. L'anziano padre ha appreso la notizia in Svizzera, dove si trovava per sottoporsi ad alcune visite mediche. È rientrato d'urgenza a Catania.
GIUSEPPE COLETTA:38 anni, originario di Avola (Siracusa) ma da tempo residente a San Vitaliano, in Campania, Vice Brigadiere in servizio al comando provinciale di Castello di Cisterna (Napoli); sposato e padre di una bambina di due anni. Aveva perso un figlio di 5 anni per leucemia.
GIOVANNI CAVALLARO: 47 anni, nato in provincia di Messina e residente a Nizza Monferrato, Maresciallo in servizio al comando provinciale Carabinieri di Asti. Era noto con il soprannome di “Serpico”. Lascia la moglie e la piccola Lucrezia, 4 anni. Era già stato impegnato in altre missioni in Kosovo e in Macedonia. Era da tre mesi in Iraq e stava per rientrare a casa. La sera prima aveva telefonato alla moglie: «Sto preparando la mia roba, sabato finalmente torno da te e da Lucrezia. Ho voglia di abbracciarvi».
ALFIO RAGAZZI: 39 anni, maresciallo dei carabinieri in servizio al Ris di Messina, sposato e con due figli di 13 e 7 anni. Era partito in luglio e sarebbe dovuto rientrare a Messina sabato prossimo: i familiari stavano già preparando la festa. Era specializzato nelle tecniche di sopralluogo e rilevamento e il suo compito era quello di istruire la polizia locale.
IVAN GHITTI: 30 anni milanese, carabiniere di stanza al 13/mo Reggimento Gorizia. Era alla sua quarta missione di pace all'estero, dopo essere stato tre volte in Bosnia. Lascia i genitori e una sorella. Ieri sera lo hanno sentito per l'ultima volta al telefono: «Era assolutamente sereno e tranquillo».
DANIELE GHIONE:30 anni, di Finale Ligure (Savona), maresciallo dei carabinieri in servizio nella compagnia Gorizia. Era Sposato da poco. Era stato ausiliario dell'Arma, poi si era congedato e iscritto all'Associazione carabinieri in congedo. Era ritornato a indossare la divisa vincendo un concorso per maresciallo.
ENZO FREGOSI:56 anni, ex comandante dei NAS di Livorno dove viveva con la famiglia. Lascia moglie e due figli, un maschio, anche lui carabiniere, e una ragazza che studia all'Università. Era partito per l'Iraq il 17 luglio scorso e stava rientrare in Italia. A casa stavano già preparando la festa per il suo ritorno.
ALFONSO TRINCONE:44 anni, era originario di Pozzuoli (Napoli) ma risiedeva a Roma con la moglie e i tre figli. Il sottufficiale era in forze al NOE, il Nucleo operativo ecologico che dipende dal Ministero dell'Ambiente.
MASSIMILIANO BRUNO: 40 anni, maresciallo dei carabinieri di origine bolognese, biologo in forza al Raggruppamento Investigazioni scientifiche (Racis) di Roma. Viveva con la moglie a Civitavecchia. I genitori e un fratello vivono a Bologna.
ANDREA FILIPPA: 33 anni, torinese, carabiniere dall'età di 19. Era esperto di missioni all'estero che lo tenevano costantemente lontano da casa. Prestava servizio a Gorizia presso il 13° Battaglione Carabinieri. Viveva a San Pier D' Isonzo insieme alla giovane moglie, sposata nel 1998.
FILIPPO MERLINO: 40 anni, originario di Sant' Arcangelo (Potenza), sposato. Con il grado di Maresciallo comandava la stazione dei Carabinieri di Viadana (Mantova). È morto nell'ospedale di Nassirya dove era stato portato gravemente ferito.
MASSIMO FICUCIELLO: 35 anni, tenente dell'esercito, figlio del Gen. Alberto Ficuciello. Funzionario di banca, aveva chiesto di poter tornare in servizio attivo con il suo grado di tenente proprio per partecipare alla missione «Antica Babilonia». Grazie alla sua conoscenza delle lingue era stato inserito nella cellula Pubblica Informazione del Col. Scalas. Questa mattina aveva avuto l'incarico di accompagnare nei sopralluoghi i produttori di un film-documentario sui «Soldati di pace». Prima dell'attentato, il titolo, provvisorio, era stato cambiato in «Babilonia terra fra due fuochi».
SILVIO OLLA: 32 anni, dell'isola Sant' Antioco (Cagliari), Sottufficiale in servizio al 151° Reggimento della Brigata Sassari. Figlio di un Maresciallo e fratello di un carrista. Laureato in Scienze Politiche, Olla era in forza alla cellula Pubblica Informazione. È morto insieme al Ten. Ficuciello mentre accompagnava nei sopralluoghi i produttori del film. La conoscenza dell'inglese e dei rudimenti dell'arabo lo avevano fatto diventare uno dei punti di riferimento per i giornalisti.
EMANUELE FERRARO: 28 anni, di Carlentini (Siracusa), caporal maggiore scelto in servizio permanente di stanza nel 6° Reggimento trasporti di Budrio (Bologna).
ALESSANDRO CARRISI: 23 anni, di Trepuzzi (Lecce), caporale volontario in ferma breve, anche lui in servizio nel 6/o Reggimento trasporti di Budrio. Era partito per l'Iraq da poche settimane. Lascia i genitori, un fratello e una sorella. Ieri sera l'ultima telefonata a casa: «Tutto va bene.
STEFANO ROLLA, 65 anni di Roma che stava facendo i sopralluoghi per un film documentario che avrebbe dovuto girare il regista Massimo Spano
MARCO BECI, 43 anni, funzionario della cooperazione italiana in Iraq.
-------------
Il discorso del Sindaco Marco Togni
Ricordare oggi ad esattamente 20 anni dall’accaduto i nostri caduti è un dovere verso, i loro orfani, le loro vedove e verso quei valori di pace, giustizia, libertà, democrazia, incarnati, oggi come allora, dall'azione quotidiana dei nostri soldati nelle più difficili realtà sulla terra. Il 20 marzo 2003 con l'invasione dell'Iraq da parte di una coalizione multinazionale guidata dagli USA iniziò la guerra in Iraq (o seconda guerra del Golfo). Il conflitto terminò il 18 dicembre 2011 col passaggio definitivo di tutti i poteri alle autorità irachene insediate dall'esercito americano su delega governativa statunitense. Nel 2003 l’Iraq era quindi martoriata da venticinque anni di dittatura e dai difficili rapporti tra le etnie e le confessioni religiose. Nella tragica mattina del 12 novembre 2003 alle 10:40 locali, alcuni attentatori suicidi, dopo aver assaltato le postazioni di guardia, guidarono un'autocisterna carica di esplosivo nei pressi della base "Maestrale" presso Nassiriya, occupata dai nostri Carabinieri dell'Unità specializzata multinazionale. L'esplosione dell'automezzo distrusse gran parte dell'edificio, posto sulle rive del fiume Eufrate e danneggiò una seconda palazzina dove aveva sede il comando. Nel cortile molti mezzi militari presero fuoco e andò in fiamme anche il deposito delle munizioni. Nel luogo della deflagrazione si formò un cratere profondo tre metri e largo otto: tutto ciò che c’era nel raggio di 70 metri venne distrutto. Diciannove furono i cittadini italiani caduti, dei quali dodici carabinieri, cinque militari dell'Esercito e due civili, un regista impegnato in un sopralluogo per le riprese di un documentario sulla missione italiana e il funzionario della cooperazione italiana in Iraq. Inoltre cedettero a terra anche nove cittadini iracheni, tra passanti e collaboratori del nostro contingente militare.
Come confermato dagli eventi successivi, la pianificazione e l'esecuzione di un'azione così ostile e devastante erano da attribuire ad una rete terroristica di portata internazionale. Essa perseguiva l'esplicito obiettivo politico di provocare il ritiro delle forze internazionali di stabilizzazione e, quindi, far ripiombare il Paese nel caos e nella dittatura. Ma l'Italia andò in Iraq non per partecipare ad una guerra ma per contribuire alla ricostruzione del Paese. Il comandante del Reggimento colpito, il colonnello Georg Di Pauli, volle rivendicare anche dopo l'attentato questa scelta coraggiosa. Di fronte alle macerie della sua base, dichiarò: «Avremmo potuto tagliare la città in due. Asserragliarci in un bunker. Ma non saremmo stati una missione umanitaria. E per la pace, per il bene degli iracheni, abbiamo pagato un prezzo altissimo, terribile» All’Italia e al suo esercito era infatti affidato il difficile compito di mantenere l'ordine pubblico, garantire l'assistenza alle autorità deputate alla ricostruzione e l'addestramento della polizia locale irachena nella città di Nassiriya ed in tutta la provincia di Dhi Kar, nel Sud del Paese. La presenza dei nostri militari in terra irachena era improntata - come di consueto - alla più ampia apertura nei confronti della popolazione locale. Essi non erano e non volevano mai apparire come una forza occupante, rinchiusa nel suo fortino ai margini dell'abitato, ma come una presenza discreta e dialogante, fianco a fianco con la gente del luogo. Questa è e deve rimanere l'identità della Repubblica Italiana, ripudiare la guerra e costruire la pace ed oggi molto c’è da lavorare al mondo. La guerra in Ucraina e la più recente guerra nella regione palestinese ne sono la drammatica testimonianza. Va ristabilito al più presto quel difficile equilibrio non solo all’interno delle nazioni ma soprattutto tra le nazioni. Alle nostre forze armate e ai nostri uomini di pace impegnati all’esterno va in nostro più grande ringraziamento.